INDAGINI VALUTAZIONE QUALITÀ

Indagini microbiologiche - Basilicata

L' impasto acido è una importante forma di fermentazione dei cereali. In Italia è utilizzato per la realizzazione di più' del 30% dei prodotti da forno. Questi includono più di 300 tipi di pane.

La Basilicata è una regione con una delle più antiche tradizioni di panificazione. Nella nostra indagine abbiamo esaminato 10 campioni prelevati da panifici artigianali localizzati nella provincia di Potenza . E' stata fatta questa scelta per avere la certezza che i campioni fossero prodotti secondo la tradizione e senza aggiunta di lievito commerciale. Le farine di questi impasti sono costituite per il 40% dei casi solo da grano duro, per un 10% da grano tenero e per il restante 50% da miscele di grano duro e tenero in percentuali diverse. In 3 dei campioni analizzati, 2 provenienti da Rionero ed 1 da Muro Lucano è risultata peculiare l'aggiunta di patate (10%) all'impasto.

Con questa madre vengono generalmente prodotti pane, focaccia, pizza e prodotti salati. La tradizione più' antica vorrebbe che l'impasto acido prendesse origine da una miscela di acqua e farina esposta durante la notte di S. Gerardo, patrono della città di Potenza, alla rugiada. Questa madre deve servire per panificare tutto l'anno.

La fermentazione della farina dipende da una microflora autoctona estremamente varia, ma specifica delle zone di produzione. Nella nostra indagine abbiamo tuttavia rilevato una certa uniformità dei campioni in funzione di parametri quali l'acidità e il pH che si attesta su valori compresi tra 3,4 e 3,9. In un solo caso, relativo ad un impasto prodotto a Rionero non è stata riscontrata acidificazione. Questi risultati riflettono la composizione quantitativa della microflora naturale costituita da un elevato numero di batteri lattici mediamente superiore a quello dei lieviti. Chiaramente a fianco dei due gruppi responsabili del potere fermentativo dell'impasto (lieviti e batteri lattici), è presente una microflora contaminante differenziata costituita da specie di lieviti non fermentativi e batteri non lattici. La presenza della microflora parallela è stata evidenziata indirettamente dalla presenza di ammine biogene, composti microbici del metabolismo secondario il cui contenuto variava da 0 a 200mg/Kg.

La microflora dominante degli impasti studiati è risultata costituita da batteri lattici omofermentanti ( Lb. plantarum, Lb. casei ) ed in misura minore (15%) eterofermentanti ( Leuconostoc spp). La maggior parte dei campioni sono risultati alquanto omogenei con la predominanza di una specie sulle altre. Probabilmente diversi fattori ambientali come la composizione qualitativa delle farine e le condizioni in cui avviene il processo produttivo hanno agito in tal senso. Solo un numero limitato di campioni presentava una maggiore varietà derivante probabilmente da un particolare contesto aziendale e geografico.

Per quanto riguarda i lieviti metà della popolazione è risultata invece costituita da specie anamorfe. Il Saccharomyces è risultato il genere dominante con le specie S. cerevisiae e S. exiguus. E' difficile stabilire il singolo contributo dei diversi gruppi microbici ai fini delle caratteristiche del prodotto finito. E' certo invece che la qualità e le peculiarità del prodotto sono il risultato di un complesso equilibrio e di forme di interazione e cooperazione tra i diversi gruppi in cui il contributo del singolo da solo è limitante.

Indagini microbiologiche - Molise

L'impasto acido è un ecosistema biologico, dinamico e complesso, in cui sono presenti diversi microrganismi che possono occasionalmente essere presenti nelle materie prime e negli ambienti di lavorazione oppure possono essere intenzionalmente aggiunte all'impasto (lievito commerciale e starter microbici). La tecnologia di panificazione ha attraversato delle fasi che hanno determinato una evoluzione delle caratteristiche esteriori e organolettiche del pane. Si è passato dal consumo delle cariossidi di cereali arrostite nella preistoria alla preparazione di un pane azzimo sino alla produzione del pane lievitato degli Egiziani. La tecnologia di produzione di pane lievitato è stata in seguito appresa da tutti i popoli dei Paesi mediterranei ed è giunta a noi quasi invariata nelle sue fasi strutturali, con il nome di panificazione casereccia o metodo indiretto. Questa metodologia di panificazione è stata in parte abbandonata dai panificatori quando nella metà del XX secolo c'è stato l'avvento del lievito commerciale. Questa scoperta ha permesso di avere un agente lievitante in grado di accendere la fermentazione panaria, di portare a termine il processo di lievitazione in tempi brevi e di ottenere un prodotto migliore nell'aspetto esteriore, con qualità organolettiche riproducibili nel tempo. Ciò ha determinato per i panificatori la possibilità di standardizzare il processo di panificazione e di aumentare la produzione, con la conseguente trasformazione da forno artigianale in industria. La forte diffusione e notorietà delle capacità tecnologiche nonché la riproducibilità delle caratteristiche organolettiche del prodotto finale hanno fatto sì che il lievito commerciale e la tecnologia di panificazione diretta sostituissero nel tempo l'impasto acido e la tecnologia d'impiego per la produzione del pane. Indirettamente questo metodo di panificazione ha influenzato anche la coltivazione delle varietà di frumento tenero per la produzione di farina. Infatti c'è stata una sostituzione delle cultivar autoctone con quelle provenienti da altri paesi sia perché queste hanno maggiori rese di produzione sia perché hanno un maggiore valore commerciale. Tutto questo ha determinato la scomparsa delle varietà antiche di frumento che facevano parte del patrimonio culturale agricolo italiano, in cui è ancora possibile trovare testimonianze sui prodotti da forno ottenuti con l'uso delle farine di tali varietà e la netta distinzione tra esse in base alle caratteristiche organolettiche come sapore, colore della mollica e aroma.

In tal senso nell'ambito del POM B22 " BIOTECNOLOGIE PER LA VALORIZZAZIONE DI PRODOTTI DA FORNO TIPICI DELL'ITALIA MERIDIONALE MEDIANTE L'INDIVIDUAZIONE DEI FATTORI CHE NE DETERMINANO LA SPECIFICITA' ORGANOLETTICA, BIOLOGICA E NUTRIZIONALE " sono stati raccolti impasti acidi provenienti da diverse aree rurali dell'Italia meridionale per isolare e caratterizzare le microflore presenti. Sulla base dei risultati ottenuti dagli studi di isolamento e caratterizzazione fisiologica, biochimica e tecnologica delle microflore lattica e blastomicetica presenti sono stati formulati dei nuovi starter microbici composti da miscele di batteri lattici e lieviti selezionati. Sono in fase di realizzazione le panificazioni con l'impiego di farine commerciali e con le farine provenienti dalle varietà antiche recuperate, per studiare le performances dei diversi starter e per monitorare il processo di panificazione al fine di ottenere la riproducibilità delle caratteristiche organolettiche e qualitative nel pane. E' auspicabile la formulazione di starter microbici multipli che diano la possibilità di standardizzare il processo di panificazione e di garantire la riproducibilità delle qualità nutrizionale e delle caratteristiche sensoriali che sottolineano la genuinità e la tipicità del pane tradizionale.

APPROFONDIMENTO: Nuove colture starter per il pane della tradizione

La miscelazione di acqua e farina crea un ecosistema dinamico ideale per lo sviluppo della microflora occasionalmente presente costituita essenzialmente da batteri lattici, enterobatteri, micrococchi, lieviti e muffe. Durante la lievitazione dell'impasto si assiste al sopravvento di due principali componenti microbiche, batteri lattici e lieviti che, con i loro metaboliti (acido lattico, acido acetico ed alcool etilico), modificano le caratteristiche dell' impasto acido inibendo le attività fermentative e la crescita degli altri microrganismi.

L'impiego di impasti acidi in panificazione consente di ottenere un prodotto con caratteristiche organolettiche e strutturali nettamente superiori a quelle ottenute con l'utilizzo del solo lievito compresso. Ciò è dovuto alla presenza nell'impasto acido di una microflora mista e complessa che determina, durante la fermentazione, l'avvio di complicati processi metabolici che caratterizzano i prodotti finiti.

In particolare la presenza di batteri lattici acidificanti determina un abbassamento del pH con produzione di acido lattico, acido acetico e di altri acidi organici unitamente a metaboliti responsabili dell' aroma, con conseguente miglioramento delle proprietà strutturali e della shelf-life del pane.

La crescente richiesta di prodotti da forno a lievitazione naturale ha suscitato, negli ultimi anni, un forte interesse per la selezione di colture microbiche da impiegare come starter nella preparazione degli “impasti”, al fine di ottenere prodotti che non solo rispettino le caratteristiche note di tipicità e tradizione ma che siano anche caratterizzati da un'elevata qualità microbiologica.

Nell' intento di definire e valutare le più opportune combinazioni dei microrganismi sono stati monitorati alcuni parametri di qualità (pH, acidità libera, acido acetico, glucosio e maltosio) nel corso della lievitazione di impasti realizzati con starter tradizionali e innovativi.

Lo studio è stato effettuato impiegando tre diversi starter costituiti da differenti combinazioni di batteri lattici e lieviti.

Starter A : composto da batteri lattici eterofermentanti facoltativi (L . plantarum e L . sakei), eterofermentanti obbligati (L . sanfranciscensis e Leuconostoc mesenteroides) e lieviti ( Saccharomyces cerevisiae).

Starter B : composto da batteri lattici eterofermentanti facoltativi ( L . plantarum e L . sakei) ed eterofermentanti obbligati ( L . sanfranciscensis e Leuconostoc mesenteroides).

Starter C : composto da soli lieviti selezionati ( Saccharomyces cerevisiae).

Di ciascun impasto acido, ad inizio e fine fermentazione, sono stati determinati le cariche microbiche lattiche e blastomicetiche, pH, acidità totale, zuccheri fermentescibili (glucosio e maltosio), ed acido acetico.

Di ciascun campione di pane dopo cottura è stato determinato il contenuto di zuccheri fermentescibili e l'acido acetico.

L'impiego degli starter A e B ha fatto registrare, nel corso della fermentazione e nel prodotto finito, una costante diminuzione di glucosio e maltosio e parallelamente un aumento di acido acetico. Nei prodotti ottenuti con l'impiego dello starter C è stato possibile apprezzare solo il consumo degli zuccheri e non l'aumento dell'acido acetico.

L'impiego degli starter microbici ha consentito il raggiungimento dei seguenti risultati:

  • riduzione dei tempi di panificazione rispetto a quelli tradizionali grazie alla selezione di batteri lattici in grado di acidificare rapidamente l'impasto e all'uso di lieviti in possesso di elevato vigore fermentativo;
  • ottenimento di prodotti ad elevati standard qualitativi e ad alto grado di ripetibilità;
  • realizzazione di prodotti da forno in grado di soddisfare le preferenze dei consumatori sia da un punto di vista sensoriale che salutistico.

Da successive prove tecnologiche sarà possibile approfondire le caratteristiche dei prodotti da forno ottenuti impiegando i vari starter. Tali prove consentiranno di meglio discriminare tutte le variabili coinvolte nel processo di panificazione e, con ogni probabilità, potranno fornire utili indicazioni per la messa a punto di uno starter complesso.

Ciò dovrebbe consentire di continuare a produrre il pane su scala commerciale, ma anche di recuperare quelle caratteristiche sensoriali ed organolettiche che ancora oggi rendono il prodotto artigianale più gradito al consumatore.

Indagini microbiologiche - Sicilia

Le paste acide sono impasti fermentati grazie alla presenza di una ricca flora microbica costituita da batteri lattici e lieviti. Questi ultimi rivestono un ruolo molto importante, in quanto i prodotti primari del loro metabolismo energetico, anidride carbonica ed etanolo, determinano l'aumento di volume dell'impasto e la formazione della struttura porosa e alveolata della pasta.

Alcuni prodotti secondari contribuiscono a formare l'aroma tipico del pane. Le paste acide sono costituite da farina, acqua e “lievito naturale”. Quest'ultimo è l'impasto della lavorazione precedente opportunamente rinnovato da impiegare come coltura starter.

Originariamente il lievito naturale era ottenuto dall'acidificazione spontanea dell'impasto, dovuta alla contaminazione delle materie prime e dagli attrezzi utilizzati. Il tempo necessario alla maturazione degli impasti varia da qualche ora a tutta la notte precedente la lavorazione vera e propria. Invece con il termine “lievito madre” si intende la frazione di impasto conservata in forma disidratata o congelata da impiegare come inoculo per la produzione di lievito naturale.

Nell'ambito del progetto l'attività di ricerca svolta è consistita essenzialmente nell'isolamento e nella caratterizzazione fenotipica e genotipica di lieviti da paste acide. Queste ultime, infatti, costituiscono un ricchissimo “serbatoio” da cui isolare e selezionare un grande numero di microrganismi, dotati delle migliori caratteristiche tecnologiche, per la messa a punto di starter utilizzabili nel processo di panificazione.

L'isolamento e la caratterizzazione fenotipica sono condotti seguendo le procedure classiche.

Per la caratterizzazione genotipica sono state utilizzate le tecniche molecolari di studio dei cromosomi interi, di frammenti di questi per il riconoscimento a livello di specie e con particolari sequenze presenti nel DNA ribosomiale (D1/D2, ITS, NTS2). I ceppi isolati sono stati saggiati per alcune importanti caratteristiche tecnologiche quali la capacità di fermentare il maltosio, la resistenza all'acido acetico, la resistenza all'acido lattico ed il vigore fermentativo.

I risultati mettono in evidenza che la capacità di fermentare il maltosio è una caratteristica importante in assenza di batteri lattici mentre, non è significativa in coltura mista. Per quest'ultima si è rivelata importante la tolleranza all'acido lattico e all'acido acetico.

E' stata inoltre valutata la costanza nel tempo delle specie riscontrate in un impasto acido impiegato nella produzione di pane di semola di grano duro.

Indagini tecnologiche

In campo alimentare, negli ultimi anni, si è avuta una radicale variazione delle tendenze dei consumatori. Aspetti edonistici, salutistici e culturali hanno orientato larghe fasce di consumatori verso prodotti “naturali” rappresentativi di tradizioni gastronomiche e culturali. Come conseguenza delle mutate esigenze si assiste, fra l'altro, alla rivalutazione della tradizione panaria attraverso la produzione di pani da sfarinati di grani tipici, di produzione locale, coltivati secondo il metodo dell'agricoltura biologica e trasformati con tecnologie di panificazione più rispondenti a quelle tradizionali in grado di conferire al pane caratteristiche organolettiche peculiari e talvolta molto differenti rispetto al prodotto di largo consumo .

La piena valorizzazione dei prodotti tipici richiede però un attento riesame della qualità tecnologica delle materie prime impiegate al fine di esaltarne le qualità ed eventualmente correggerne i difetti. La valutazione della qualità tecnologica di uno sfarinato può essere fatta mediante :

  1. Analisi chimiche;
  2. Analisi reologiche;
  3. Prove di panificazione;
  4. Analisi sensoriale;

Ognuna di queste analisi fornisce alcune informazioni ma solo se valutate nel loro insieme si arriva ad un giudizio complessivo. La più diretta ed immediata è la prova di panificazione in quanto permette di stabilire l'attitudine di una farina alla produzione di un prodotto specifico. Tuttavia, dato il suo elevato grado di empirismo essa non consente di stimare le reali potenzialità di una materia prima o trarre indicazioni per scegliere le condizioni di processo più idonee a valorizzare uno sfarinato. A questo scopo risultano più idonee le atre analisi che consentono di mettere in relazione le caratteristiche compositive della farina con la struttura e le proprietà sensoriali del pane. Il volume e la struttura macroscopica del pane sono in gran parte correlate all'elasticità e all'estensibilità dell'impasto e queste a loro volta dipendono dalla capacità di assorbimento di acqua da parte della farina durante l'impastamento. L'impasto è una miscela complessa costituita da amido ( ~ 80%), proteine ( ~ 14%), lipidi ( ~ 4-5%) e pentosani ( ~ 1-2%). Durante l'impastamento di acqua e farina, si verifica la strutturazione dei diversi componenti; essa è il risultato dell'interazione dell'acqua con le proteine e, in misura minore, con l'amido e i pentosani. La miscela di acqua e farina inizialmente incoerente diviene una massa coesa e ciò è dovuto soprattutto alla presenza delle gliadine e delle glutenine, le quali, durante l'impastamento della farina con l'acqua, si aggregano originando una massa plastica ed elastica, nota come il glutine. Uno strumento in grado di descrivere l'evoluzione dell'amalgama di farina e di acqua durante impastamento è il Farinografo. Pur essendo uno strumento di tipo empirico-imitativo, risulta di particolare utilità pratica nel valutare il comportamento reologico degli impasti di sfarinati di grano. Attraverso l'utilizzo del Farinografo vengono valutati alcuni importanti indici che possono essere messi in relazione con il comportamento degli impasti in specifiche applicazioni e a grandezze chimiche, meccaniche e sensoriali. Tali indici sono: l'assorbimento di acqua, il tempo di sviluppo dell'impasto, la stabilità, l'elasticità ed il grado di rammollimento. La stabilità, per esempio, indica per quanto tempo l'impasto può subire un trattamento meccanico senza che la sua consistenza diminuisca. Più la farina è buona, più questo tempo è lungo e quindi può sopportare maggior lavoro ed una più lunga fermentazione. Invece, maggiore è il grado di rammollimento, tanto più breve sarà il tempo di fermentazione. Attraverso tali indici si può stimare la forza di una farina. Una farina è definita forte se la consistenza dell'impasto a cui essa da origine cambia di poco nel tempo, mentre una farina è debole se tale consistenza diminuisce sensibilmente.

I test imitativi, pur essendo particolarmente efficaci per valutare il comportamento di una farina da un punto di vista industriale, non consentono di spiegare il ruolo funzionale dei diversi componenti di uno sfarinato e la natura delle interazioni che si stabiliscono fra loro. Recentemente è stato dimostrato che tecniche analitiche e teorie scientifiche sviluppate nell'ambito della Scienza dei materiali si prestano in modo più adeguato allo studio delle sostanze alimentari. Sofisticate tecniche reologiche come l'analisi dinamico - meccanica aiutano a mettere in relazione il comportamento macroscopico degli impasti coi fenomeni che avvengono a livello molecolare fra i diversi costituenti funzionali.

Un'altra fase importante del ciclo produttivo del pane, ai fini della qualità finale del prodotto, è la cottura dell'impasto. Durante la cottura, l'impasto subisce alcuni cambiamenti irreversibili che ne determinano la struttura finale, l'aroma ed il sapore. Tali cambiamenti dipendono non solo dalla temperatura di cottura ma soprattutto dalla velocità con cui l'energia termica si trasmette dal forno alla pagnotta. Le modificazioni che avvengono durante questa fase a carico dell'amido, delle proteine e le interazioni tra amido e proteine, sono causa di profonde trasformazioni a livello molecolare e l'impasto, inizialmente dotato di caratteristiche viscoelastiche, si trasforma in un solido semi-rigido con struttura altamente alveolata. All'aumentare della temperatura i granuli di amido si rigonfiano ( ~ 40°C) e competono con le proteine per appropriarsi dell'acqua disponibile. Tuttavia, a causa del quantitativo limitato di acqua, una buona parte di granuli di amido rimane intatta. Quando la temperatura, all'interno della pagnotta, raggiunge i 60-70°C, le proteine del glutine si denaturano e perdono la loro capacità di legare acqua. L'ulteriore acqua disponibile fa sì che un'ulteriore quantità di amido gelatinizzi impedendo in tal modo che l'impasto collassi.

Per valutare il comportamento alla cottura di un impasto si usa misurare l'aumento di volume della pagnotta a seguito della cottura. Come nel caso precedente, questo test è di notevole interesse industriale ma di scarsa utilità scientifica. In questo caso test fondamentali che consentono di valutare l'evoluzione delle caratteristiche chimico-fisiche e reologiche dell'impasto al variare della temperatura come ad esempio l'analisi termica a scansione (DSC) o quella termo-dinamico-meccanica (DMTA) sono più appropriate .

Alcuni esempi verranno illustrati per evidenziare come sia possibile partendo dalle analisi di tipo fondamentale derivare delle correlazioni tra i parametri compositivi, reologici e chimico – fisici relativi alle diverse varietà di sfarinati analizzate e la loro attitudine alla panificazione .

APPROFONDIMENTO: Indagini granulometriche e diffrattometriche di alcune farine

Le dimensioni granulometriche delle farine rappresentano uno dei parametri qualitativi da monitorare in quanto influiscono significativamente sul processo di seconda trasformazione e sulle caratteristiche qualitative del prodotto finale. Inoltre incidono su diversi fattori come i tempi ed i costi dei processi di trasformazione e le caratteristiche qualitative del prodotto finale (colore, aspetto, flavour, texture, ecc...). Per granulometria si intende la separazione % delle varie grandezze dei granuli. Si esegue per valutare il grado di abburattamento del mulino, ossia il grado di estrazione degli sfarinati in particelle di diverse dimensioni. La granulometria laser, caratterizzata da maggiore accuratezza rispetto ai sistemi di setacciamento tradizionali, permette di valutare accuratamente le dimensioni dei diametri medi dei granuli delle farine .

Farine studiate : Eridano, Colfiorito, Abbondanza, Autonomia, Spiniello, Barilla

Tecniche utilizzate : Granulometria laser, Diffrattometria di raggi X ad alto angolo (WAXS) su polveri.

Conclusioni

Dalle distribuzioni granulometriche si può dedurre che il massimo della distribuzione non è uguale per tutte le farine e varia in un range da 74 mm a 130 mm. Valore simile per la maggior parte delle farine è invece la mediana, che è il numero che occupa la posizione centrale della distribuzione: una metà dei granuli ha dimensioni superiori alla mediana mentre l'altra metà ha dimensioni inferiori. L'Autonomia è caratterizzata da un valore della mediana inferiore alle altre e, pertanto, risulta avere un maggior contenuto in glutine e ceneri. Dai risultati diffrattometrici si deduce che la farina che presenta il maggior valore di cristallinità è quella con minor quantità di amido danneggiato. Quindi, L'Eridano, la Colfiorito e l'Abbondanza presentando la maggior quantità di amido danneggiato, assorbono durante l'impasto una maggior quantità di acqua.

APPROFONDIMENTO: Analisi digitale dell'immagine di pani prodotti con differenti starter microbici e tecnologie di cottura

L'Analisi Digitale delle Immagini ha permesso una rapida definizione delle caratteristiche geometriche, morfologiche e densitometriche in numerosi prodotti tra cui vari alimenti. Tramite l'Analisi delle Immagini è, infatti, possibile individuare caratteristiche di difficile determinazione con tecniche classiche. Nei prodotti da forno l'alveolatura costituisce un parametro di notevole rilevanza ma di difficile interpretazione. Il ricorso all'analisi delle immagini in questo campo può rappresentare un valido strumento di valutazione oggettiva.

Materiali e metodi

Campioni di pane sono stati prodotti utilizzando sempre la stessa farina commerciale (tipo O) ma differenti starter (Sorrentino et al., 2001). Per ciascun tipo di starter sono state prodotte due serie di impasti di cui, dopo lievitazione, una serie é stata cotta in forno elettrico (Moretti) e una in forno a legna tradizionale.

Acquisizione dell'immagine

Da ogni campione è stata prelevata una fetta dello spessore di circa 1 centimetro in sezione trasversale in prossimità della parte centrale del pane. Per garantire una omogenea distribuzione della luce emessa dalla lampada dello scanner é stata utilizzata una cupola in plastica color latte.

Si è impiegato come dispositivo di acquisizione lo scanner piano Arcus II della AGFA e come software Fotolook di AGFA.

L'acquisizione è stata condotta su un'immagine a scala di grigio con una risoluzione di 300 Dpi.

Sono stati utilizzati livelli di luminosità e contrasto costanti per ogni scannerizzazione secondo l' impostazione del programma “FotoLook”, mentre la gamma tonale è stata impostata ad un valore di 1,5.

Analisi digitale delle immagini

Per condurre l' analisi digitale delle Immagini è stato usato il Software Image-Pro Plus di Media Cybernetics. su piattaforma Windows 98.

L'analisi dello spettro sull' immagine e l' analisi dell' alveolatura sono state eseguite sulle sezioni trasversali ottenute come precedentemente descritto. Per porre in risalto la presenza e le dimensioni degli alveoli, in sede di preelaborazione delle immagini, si sono adottati i seguenti parametri: luminosità 37; contrasto 78; gamma 0,3.

La successiva interpretazione delle immagini ha consentito la classificazione degli alveoli in classi e la distribuzione per aree degli stessi.

Risultati e conclusioni

L' analisi degli spettri ha posto in netta evidenza l' influenza della tecnologia di cottura sull' alveolatura del pane a parità di composizione dello starter. In particolare, i pani cotti in forno a legna hanno mostrato una distribuzione dei livelli di grigio (presenza di due picchi nell' istogramma) differente da quelli cotti in forno elettrico (presenza di un solo picco) rendendo possibile una espressione grafica delle differenze rilevabili a vista.

Più complessa è apparsa l' interpretazione delle caratteristiche di pani ottenuti con starter differenti ma cotti con le stesse modalità. Infatti la valutazione dell' alveolatura di campioni prodotti con Starter A, Starter C e lievito di birra (Controllo) cotti in forno elettrico ha fornito risultati interlocutori.

Sembrerebbe individuabile nei campioni ottenuti con lo starter A una differenza nel numero e nella distribuzione in classi degli alveoli, sia rispetto al campione prodotto con starter C sia rispetto a quello prodotto Controllo.

E', in definitiva, opportuno sottolineare come ulteriori approfondimenti siano necessari nell' impiego della tecnica di analisi delle immagini per la valutazione di prodotti da forno ma è possibile fin da ora sostenere la possibilità di impiego con risultati promettenti.

Indagini tecnologiche

Azione biochimica

Il contenuto e la composizione delle proteine del grano rivestono un ruolo di notevole importanza non solo dal punto di vista nutrizionale e tecnologico, ma anche da quello clinico, in quanto ad esse è associata l'intolleranza al glutine. Le frazioni proteiche responsabili delle proprietà appena descritte sono le gliadine e le glutenine che, localizzate prevalentemente nell'endosperma del chicco di grano, concorrono alla formazione del glutine.

Nell'ambito del recupero e della valorizzazione di varietà antiche di grano tenero e duro, tipiche dell'Italia Meridionale, sono state esaminate le composizioni delle frazioni proteiche tecnologicamente importanti (gliadine e glutenine) di farine ottenute da quelle varietà tradizionalmente utilizzate e tramandate fino ad oggi, mediante tecniche elettroforetiche e cromatografiche. Sono state analizzate 8 varietà di grano tenero (5 varietà “antiche”, Risciola, Strampelli, Marzotto, Autonomia ed Abbondanza e 3 attualmente coltivate, Sprint, Centauro e Bolero) e 2 varietà di grano duro (la Cappelli, ormai in disuso, e la Svevo, ottenuta recentemente). Le tecniche utilizzate per l'analisi biochimica di tali frazioni sono state l'elettroforesi alcalina in presenza di sodiododecilfosfato, l'elettroforesi acida, l'elettroforesi capillare e la cromatografia liquida ad elevate prestazioni, in fase inversa (HPLC). Dall'analisi dei risultati, e dal confronto di questi ultimi con quelli ottenuti dalle prove reologiche, è stato possibile stabilire un indice che correla le classi proteiche gluteniniche con i parametri alveografici, e quindi tecnologici. Tale indice è rappresentato dal rapporto delle due classi gluteniniche definite B e C. Le varietà che presentano le migliori caratteristiche tecnologiche, (come la Strampelli, l'Autonomia e la Centauro), hanno un indice di circa 1.6 mentre le varietà che si presentano meno adatte alla panificazione (come la Risciola) hanno un indice di circa 2.3. L'indagine svolta, inoltre, ci ha permesso anche di stabilire che l'elettroforesi capillare è la tecnica più risolutiva e rapida per l'analisi delle proteine del grano.

Studio dell'eterogeneità delle proteine del glutine in varietà tipiche regionali di grano tenero mediante metodiche separative avanzate accoppiate con la spettrometria di massa

Introduzione

Le gliadine, insieme alle glutenine, costituiscono circa l'80% delle proteine del grano e rivestono un ruolo fondamentale nel conferire le proprietà viscoeleastiche agli impasti nei prodotti a base di grano come pane e pasta. I componenti delle gliadine sono classificati convenzionalmente in base alle rispettive mobilità elettroforetiche come frazioni a, b, g, w. Le sequenze amminoacidiche disponibili per le gliadine sono derivate dall'analisi del cDNA , mentre molto poco è stato fatto a livello di sequenza proteica. L'analisi strutturale delle gliadine è infatti limitata dalla loro straordinaria eterogeneità: ciascuna frazione può essere separata in almeno 20 componenti mediante elettroforesi. Anche la cromatografia HPLC a fase inversa è stata applicata allo studio delle gliadine. Recentemente la spettrometria di massa, MALDI ed Electrospray , è stata utilizzata per la caratterizzazione delle proteine del glutine del grano duro, consentendo di evidenziare la loro complessa eterogeneità. Queste considerazioni ci hanno spinto a sottoporre a verifica i metodi identificativi attualmente disponibili per lo studio delle gliadine (HPLC ed elettroforesi, nella versione capillare) applicando tecniche di spettrometria di massa. In questo modo è stato possibile razionalizzare in un quadro unitario i pattern forniti da ciascuna delle tecniche analitiche applicate alle varietà di grano tenero tipiche regionali e valutare quale metodica potesse essere la più adatta per la rapida caratterizzazione della loro frazione gliadinica.

Materiali e metodi

Estrazione delle proteine: L'estrazione delle proteine del glutine è stata effettuata secondo la procedura descritta da Wieser, 1998 . La pre-estrazione delle globuline e delle albumine dalla farina (100mg) di grano tenero è stata realizzata mediante aggiunta di 1ml di tampone 0.4M NaCl, 0.067M KNaHPO4, pH 4.6 per 3 volte. Successivamente sono state estratte le gliadine con 0.5ml di una soluzione al 70% (v/v) di etanolo per 3 volte e le frazione riunificate e liofilizzate.

Analisi HPLC: Aliquote da 200ml di estratto proteico sono stati filtrati attraverso membrane da 0.45mm e analizzate mediante analisi HPLC (Hewlett Packard, 1100), utilizzando una colonna C8 a fase inversa (Vydac, Hesperia, CA), operando ad un flusso di 1ml/min ed utilizzando un detector diode array. La colonna era termostatata a 50°C e l'effluente monitorato a 210nm. Il solvente A era 0.1% acido trifluoroacetico (TFA) in acqua e il solvente B era 0.1% TFA in acetonitrile. La separazione delle gliadine è stata effettuata mediante un gradiente dal 25 al 55% di B in 100 min.

Elettroforesi capillare: Per ognuna delle verietà di grano tenero considerate, un'aliquota della frazione gliadinica totale e un'aliquota di ciascuna delle frazioni raccolte da HPLC sono state analizzate mediante elettroforesi capillare (Beckmann, P/ACE System 5000 ), utilizzando capillari non rivestiti lunghi 27 cm (diametro 50 mm): Le corse sono state effettuate in tampone fosfato 100mM pH 2.5, contenete un polimero additivo (metil-propil cellulosa), ad un temperatura di 40 °C e ad un voltaggio di 10 kV per 33 minuti .

Spettrometria di massa MALDI: I campioni ottenuti dalla separazione HPLC sono stati analizzati mediante spettrometria di massa MALDI. Tutti gli esperimenti sono stati condotti utilizzando uno strumento modello Voyager DE PRO (Perseptive Biosystems, Framingam, MA) equipaggiato con un laser a 437nm ad azoto, con ampiezza di pulsazione di 3 nsec e con una frequenza di 20Hz. Gli spettri di massa sono stati acquisiti in linear mode. Un microlitro di campione dalla separazione HPLC è stato caricato sulla piastra e successivamente è stato aggiunto 1 ml di matrice costituito da acido 3,5-dimetossi-4-idrossicinnammico (acido sinapinico) disciolto in una miscela 1:1 di TFA 0.1% e acetonitrile .

Risultati e conclusioni

In figura (a) è mostrato l'elettroferogramma ottenuto mediante elettroforesi capillare (CE) della frazione gliadinica estratta da una delle varietà di grano tenero esaminate (varietà Strampelli). Dal profilo sono evidenti numerosi picchi, contraddistinti dal rispettivo tempo di ritenzione, a conferma dell'eterogeneità della frazione gliadinica. Le zone elettroforetiche sono state anche contraddistinte secondo la nomenclatura in uso come w, a/b e g. In figura (b) è mostrato invece il cromatogramma ottenuto dall'analisi HPLC delle stesse gliadine. Le 19 frazioni cromatografiche, raccolte singolarmente, sono state analizzate mediante elettroforesi capillare che ha mostrato che ciascun picco era a sua volta costituito da più proteine. Ad esempio in figura (c) è mostrata l'analisi elettroforetica della frazione marcata con asterisco in figura (b) (relativa alla zona delle g-gliadine), che evidenzia la presenza di due proteine in miscela. In base al tempo di migrazione in CE, una delle proteine corrisponde ad una g-gliadina, mentre l'altra corrisponde ad una gliadina di tipo b. Questo dato è del tutto generale ed è indicativo del fatto che i sistemi di classificazione basati sul paragone dei tempi di migrazione CE o di quelli cromatografici in HPLC sono insufficienti a caratterizzare l'elevatissima eterogeneità delle gliadine in queste varietà di grano tenero .

Al fine di sviluppare una procedura in grado di risolvere completamente la complessità del sistema proteico, l'analisi mediante spettrometria di massa MALDI è stata applicata a ciascuna delle frazioni HPLC. In figura (d) è mostrato lo spettro di massa MALDI della frazione cromatografica 18 precedentemente esaminata in CE. La misura del peso molecolare ottenuto con questa tecnica ha permesso di identificare otto componenti proteiche diverse di cui cinque principali. Dal confronto tra il peso molecolare misurato e quello atteso per le differenti frazioni gliadiniche si può stabilire che due di esse corrispondono a g -gliadine mentre le rimanenti cinque hanno le masse caratteristiche delle gliadine a/b , confermando i dati di CE, ma con una capacità di risoluzione dei componenti notevolmente superiore. La stessa analisi estesa alle altre varietà di grano tenero ha permesso di razionalizzare la complessa eterogeneità delle gliadine, che si manifesta non solo fra le diverse varietà di grano tenero ma anche nell'ambito di una stessa varietà. In conclusione l'approccio combinato tra metodiche separative ad alta risoluzione e spettrometria di massa si è rivelato in grado di caratterizzare a livello molecolare la frazione gliadinica delle diverse varietà di grano tenero .


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